Troppe diagnosi sui bambini: è realmente così?

Mi capita spesso di affrontare questo argomento con i genitori, ma anche con gli insegnanti e con i diversi professionisti che ruotano intorno alla salute dei bimbi. Spesso, infatti, si sente dire che ci sono troppe diagnosi sui bambini. Negli ultimi anni, infatti, assistiamo a un boom di diagnosi. Sono tantissime le valutazioni che riconoscono nei bimbi disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), disturbi da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), disturbi della condotta, e così via. Ma quali sono i motivi di questo incremento di diagnosi? A cosa possiamo ricondurre l’aumento di valutazioni che portano a una certificazione?

 

TROPPE DIAGNOSI SUI BAMBINI: MA COSA E’ UNA DIAGNOSI?

Si sente spesso parlare di diagnosi. Ma di cosa si tratta realmente? La diagnosi è l’esito di un processo di valutazione, che riconduce determinate caratteristiche all’interno di una categoria specifica. La diagnosi, dunque, è uno strumento utile che consente di definire una situazione e permette di condividerla tra professionisti con un linguaggio comune e condiviso. Si tratta, quindi, di una “etichetta” che permette di dare un nome alle specifiche caratteristiche del piccolo.

Allo stesso tempo, però, le diagnosi permettono di inquadrare la situazione e consentono di attivarsi per intraprendere un percorso chiaro e definito. Un inquadramento diagnostico permette di muoversi attraverso delle linee guida validate scientificamente, che consentono di orientarsi nel modo migliore per il benessere del bimbo e della sua famiglia.

CI SONO DAVVERO TROPPE DIAGNOSI SUI BAMBINI?

Si può veramente parlare della presenza di troppe diagnosi sui bambini? Possiamo parlare di eccesso di medicalizzazione? Il problema, in realtà, a mio avviso non sono le troppe diagnosi sui bambini, forse, ma ciò che ne viene fatto. Spesso, infatti, la valutazione è il punto di partenza, ma anche quello di arrivo. Troppo spesso ci sono indicazioni frammentarie e servizi parziali, che non aiutano i bambini e le loro famiglie. A questo punto, quindi, la certificazione diventa solo uno strumento che “etichetta” il bambino, ma non attiva il contesto per riabilitarlo o potenziarne le aree deficitarie. La diagnosi, in questo modo, a mio avviso, serve a ben poco.

Allo stesso tempo, però, dire che ci sono troppe diagnosi sui bambini può rivelarsi pericoloso. E’ opportuno, infatti, quando qualcosa preoccupa o fa destare qualche sospetto, rivolgersi ad un professionista e approfondire la situazione. E’ fondamentale, infatti, fare degli approfondimenti. Lavorare preventivamente, in questo senso, è molto importante. Prima ci si muove, prima si attivano le risorse.

Il professionista ha un ruolo molto importante. Le famiglie, infatti, vanno accompagnate, per capire insieme cosa e come fare. Ogni intervento deve essere costruito con quel bimbo e con la sua famiglia. Sta al professionista non limitarsi a fare la valutazione, ma sostenere la famiglia nell’attivare un contesto in grado di supportare le caratteristiche del bambino. Non è solo il bambino che deve potenziare o riabilitare le proprie abilità, ma anche il contesto. Diventa centrale, quindi, l’alleanza psicologo-famiglia-scuola e con gli altri contesti importanti per la vita del bambino.

Troppe diagnosi sui bambini

TROPPE DIAGNOSI SUI BAMBINI: NON SIAMO SOGGETTI PASSIVI

Uno dei rischi maggiori che mi preoccupano dell’eccessiva medicalizzazione dei disturbi dei bambini è quello di trasmettere il messaggio che non si può fare nulla, perché il disturbo è nel bambino. Il rischio, dunque, è quello di sentirsi impotenti di fronte alla situazione, e reificare tutte le difficoltà nel bimbo. E’ lui, insomma, l’unico che può fare qualcosa. Questo è vero, ma fino ad un certo punto. Come genitori, come insegnanti e come adulti che ruotano intorno alla vita dei bambini, siamo responsabili del contesto in cui vivono. E, in quanto persone, siamo soggetti attivi, ognuno con le proprie competenze e responsabilità.

E’ competenza e responsabilità del mondo adulto, infatti, attivarsi per garantire tutte le maggiori e migliori situazioni. Non si tratta di fare da sé o aspettare che la situazione migliori da sola, ma muoversi nella maniera migliore. Esso deve attivarsi in maniera sinergica. La diagnosi non dice che il problema è del bambino e che il contesto non deve cambiare. Questa visione, infatti, rischia di reificare il problema nel piccolo. L’obiettivo, invece, deve essere quello di creare le condizioni migliori per favorire il benessere e il miglioramento delle condizioni di vita, del bimbo e della sua famiglia.

 

 

TROPPE DIAGNOSI SUI BAMBINI: I BIMBI NON SONO PICCOLI ADULTI

Molte volte ci si chiede quale è lo standard di bambino che si prende in riferimento. Cosa si intende per bambino “normo-tipico”? Forse, in una società dove da tutti ci si aspetta la perfezione, si è perso di vista cosa siano l’infanzia e le caratteristiche reali dei bambini.

Nonostante le scoperte scientifiche quotidiane, spesso, ci si dimentica di attuare la loro applicazione nella quotidianità. Troppo spesso, infatti, si assiste ad atteggiamenti e pretese del mondo adulti che non considerano lo sviluppo dei bimbi. I bambini non sono adulti in miniatura. La loro struttura biologica, fisiologica, cognitiva ed emotiva è diversa da quella adulta. Non si possono fare richieste che i bambini, oggettivamente, non possono soddisfare. Non si può chiedere ai bambini di fare un lavoro astratto in prima elementare, quando quella parte del cervello non è ancora sviluppato. Possiamo chiedere ai bambini di stare seduti 4 ore, ad ascoltare la lezione in maniera passiva? Sì può pretendere dai bambini della scuola dell’infanzia di mangiare seduti composti, senza parlare durante il pranzo? C’è chi lo fa, ma non tutti riescono a farlo, e non necessariamente perché hanno qualcosa.

 

TROPPE DIAGNOSI SUI BAMBINI: IL RUOLO DELL’EDUCAZIONE

E’ importante, per capire se al bambino può essere fatta una diagnosi, comprendere se le richieste dell’ambiente sono idonee e se le modalità di insegnamento, ad esempio, sono congrue con il suo stile di apprendimento. Ad esempio, Gardner evidenzia che ci sono 7 tipi di intelligenza. La scuola attuale, nella maggior parte dei casi, ne considera solo due: quella logico-matematico e quella linguistico-verbale. Chi sviluppa maggiormente, invece, l’intelligenza sociale o corporeo-cinestetica, allora, come può arrivare a raggiungere gli obiettivi con gli strumenti previsti attualmente nella maggior parte delle scuole italiane?

Un altro aspetto interessante, inoltre, è che lo sviluppo si struttura in maniera interconnessa con l’educazione. Occorre, quindi, chiedersi se stiamo garantendo tutte le possibili condizioni favorevoli perché questo accada. Non si tratta di essere buoni o cattivi genitori, ma di attuare un sistema educativo favorevole ad uno sviluppo sano ed armonioso. Ad esempio, si può pretendere che un bambino segua le regole a scuola se, ad esempio, a casa non ne ha?

 

IN CONCLUSIONE, CI SONO DAVVERO TROPPE DIAGNOSI SUI BAMBINI?

Questo non vuol dire che tutto è consentito e che le diagnosi siano inutili, anzi. Le diagnosi sono fondamentali, ed è per questo che occorre un’attenzione particolare alla loro stesura. Dobbiamo essere felici che la comunità scientifica porti avanti studi e ricerche per affinare criteri diagnostici e intervenire precocemente su molte difficoltà.

Come professionisti, però, dobbiamo stare molto attenti a dare un significato alla diagnosi, che da sola non è sufficiente a esaurire la descrizione del bambino. Occorre fare una foto della situazione, come punto di partenza per capire dove potenziare, riabilitare, educare o ri-educare. Quello dello psicologo, infatti, è un lavoro scientifico, ma che non può prescindere dalle relazione e dal contesto.

DOTT.SSA ANNABELL SARPATO
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